Laserterapia per afte: realtà o finzione?

Short Review.

Si definisce ulcera aftosa una condizione patologica muco-cutanea caratterizzata dalla presenza di lesioni ulcerative di color grigiastro-giallo, accompagnate da un’aureola eritematosa. Un’afta può rappresentare un’esperienza estremamente dolorosa per il paziente che frequentemente è costretto a ricorrere a terapie antalgiche rappresentante da trattamenti topici a base di lidocaina o, in casi gravi, a corticosteroidi per via sistemica e locale.

L’ulcera aftosa normalmente si localizza solitamente sulle mucose orali meno cheratinizzate, anche se nelle forme più gravi è possibile riscontrare la presenza delle stesse anche nelle mucose orali cheratinizzate.

Nonostante numerose investigazioni abbiano cercato di evidenziare i pathways patogenetici d’esordio, si disconoscono i fattori ai quali sarebbero relazionate le afte. Nonostante ciò, si suppone che l’eziologia sia di origine multifattoriale, con fattori predisponenti come le alterazioni immunologiche, patologie sistemiche o abitudini dannose come il fumo.

Tra i fattori predisponenti, l’aspetto genetico suscita interesse scientifico nelle più recenti pubblicazioni. Tale teoria, inizialmente formulata dal dr. Bagán, imputerebbe alla trasmissione genica, la predisposizione alla formazione di afte con incremento del rischio oltre il 40%.

Chiaramente non si può imputare tutto alla genetica, poichè è stata dimostrata l’esistenza di correlazione anche con determinate intolleranze alimentari, per esempio con noci, frutta secca e pomodori.

Nonostante ciò, il fattore considerato più “comune” nello sviluppo delle afte è sicuramente lo stress, l’ansia, il nervosismo o la depressione che ha la capacità di provocare l’insorgenza delle stesse.

Un altro fattore da prendere in considerazione, come sottolineato dal prof. Barrons, è la presenza di deficit ematologici, come la carenza di ferro, o i deficit vitaminici, in concreto il gruppo vitaminico B.

Tra le patologie associate alle afte è indispensabile considerare correlazioni con varie sindromi: come la sindrome di Behcet, la celiachia, il morbo di Crohn, la sindrome di Reiter e/o di Magic.

 

La classificazione clinica più utilizzata è quella che divide le afte per dimensione, distinguendo le forme in “minori”, “maggiori” ed “erpetiformi”.

Le afte minori, conosciute anche come afte di “Mikulicz”, si presentano nel 75-80% dei casi, non superano il centimetro e curano tra i 10 e 14 giorni senza lasciare conseguenze.

Le afta maggiori, invece, rappresentano il 10-15% delle lesioni ulcerose orali. Avendo diametro maggiore di un centimetro, la lesione può durare fino al mese, con possibilità di esiti cicatriziali. Si presentano maggiormente nella mucosa orale cheratinizzata. Da ricordare che esistono due forme cliniche particolari delle afte maggiori: l’aftosi bipolare di Newman e ed il morbo di Sutton.

Per quanto riguarda le afta erpetiformi, sono lesioni di piccole dimensioni, però numerose, la cui particolarità è quella di “unirsi” formando afte di dimensioni più grandi e con bordi irregolari.

Come si organizza il trattamento delle afte?

Il trattamento delle afte presuppone una sintomatologia dolorosa. Il primo passo per il trattamento è una buona diagnosi, come suggerito da Barrons, che schematizza il tutto secondo un preciso modello basato su:

trattamento fattori predisponenti;

trattamento iniziale sempre con farmaci topici, come corticoidi, tetracicline o clorexidina; qualora non ci fosse risposta al trattamento topico, passare a quello sistemico con corticoidi.

 

Ovviamente questo iter terapeutico può essere visto come piuttosto “obsoleto” ai giorni nostri, visto la possibilità di poter usufruire delle “nuove” tecnologie come la terapia fotodinamica, capace di procurare sollievo immediato, senza dover far uso di alcun tipo di farmaco.

In effetti anche se l’utilizzo della “low level laser therapy” stia diventando sempre più presente in ogni studio dentistico, molte volte ci si domanda se davvero possa essere efficace; se possa avere dei reali riscontri nella pratica odontoiatrica; se possa davvero arrecare dei benefici ai pazienti.

 

È bene considerare un ampio spettro di soluzioni nell’approccio delle afta. L’obiettivo principale del trattamento, è quello di ridurre il dolore e, nello stesso tempo, ridurre il tempo di cura, il numero e la dimensione delle afte presenti.

Si è ben visto e documentato che la LLLT nella maggior parte dei casi, riuscirebbe ad arrecare una soluzione semplice, rapida e poco fastidiosa per il paziente.

Grazie al laser, fin dalla prima terapia, si può ottenere la “modulazione” della percezione dolorosa, dovuta principalmente all’azione fotodinamica in grado di detrminare il rilascio di endorfine lungo le terminazioni sensoriali nervose locali.

Un altro meccanismo di sollievo del dolore procurato dalla LLLT, è dovuto all’aumento della sintesi di ATP nei neuroni da parte dei mitocondri. Infatti, quando si hanno diminuzioni di sintesi di ATP, conseguentemente si ha una leggera depolarizzazione, che diminuisce la soglia del dolore. In contrasto a ciò, un aumento della sintesi di ATP, aumenterebbe la soglia del potenziale di membrana e, di fatto, innalzerebbe la soglia del dolore.

Inoltre, si è visto anche che tra gli effetti benefici del laser, sono annoverati effetti fotochimici, fotofisici e fotobiologici dell’area irradiata che si tradurrebbe in una attivazione delle cellule che garantirebbero un’azione antinfiammatoria. Grazie a tutti questi fattori, si ridurrebbe il tempo della cura del tessuto danneggiato.

Dagli studi evidenziati, infatti, i tempi di cura sarebbero ridotti drasticamente, con tempi di guarigione nettamente inferiori, che vanno da un minimo di 3 giorni di irradiazione, ad un massimo di 6, come annoverato nella letteratura.

Concludendo, è possibile dire che la terapia fotodinamica di bassa frequenza non è da considerarsi fantascienza, ma un’arma di gran valore per la terapia e guarigione delle afte.

 

Dott. Paolo Bevilacqua

 

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